“Uno dei più importanti fallimenti di mercato è il danno ambientale conseguente all’impatto che ha l’uomo sulle risorse di proprietà comune e libero accesso. Al fine di aumentare l’efficacia degli strumenti previsti per la tutela della diversità biologica sarà necessaria un’azione decisiva a scala, dalla locale alla globale”. Non potrebbero esistere conclusioni più appropriate per un tempo in cui le deforestazioni espongono l’uomo a virus prima custoditi dall’integrità degli ecosistemi.
Vanessa Melas, economista ambientale della Fondazione MEDSEA, ha dovuto discutere a distanza la tesi “Il valore della conservazione della biodiversità”, presentata a conclusione del master in Economia e management delle risorse naturali e dell'ambiente dell’Università degli Studi Nicolò Cusano di Roma. “Senza il rituale emozione e gioia vengono un po’ meno. Qualche intoppo con la tecnologia”, racconta in un’altra intervista sullo schermo.
La ricerca è nata dal desiderio di approfondire la disciplina della conservazione della diversità biologica, il valore intrinseco dell’ambiente e quali siano le misure più adatte a conservarlo e promuoverne una fruizione sostenibile. Secondo la definizione più sintetica, quella adottata dalle Nazioni Unite durante il Vertice della Terra in Rio de Janeiro del 1992, è “la variabilità degli organismi viventi di tutte le fonti, incluse, tra l’altro, quelle terrestri, marine ed altri ecosistemi acquatici, nonché i complessi ecologici dei quali essi fanno parte, tra cui la diversità all’interno di ogni specie, tra le specie e degli ecosistemi”. Il patrimonio infinito, armonico e per lo più sconosciuto sul quale le società umane hanno costruito la civiltà. “La miglior stima suggerisce che esistano dai 5 ai 10 milioni di specie, di cui la metà sono insetti. Il Rapporto WWF sulla biodiversità (2013) riporta che ogni anno una moltitudine di nuove se ne aggiungono, come documenta oggi l’International Institute for Species Exploration (IISE), a una media di 18.000 nuove specie di piante ed animali descritte ogni anno”, scrive Melas nella tesi. Fra queste sono compresi anche batteri e virus.
Per proteggere la sconfinata e misteriosa meraviglia naturale da sovrasfruttamento, inquinamento, cambiamenti climatici e frammentazione degli habitat negli anni sono state prodotte numerose misure di tutela, a tutti i livelli, dal regionale al globale. Forse troppe, e talvolta in conflitto fra loro, sostiene Melas nel lungo capitolo che le mette a confronto. Le Aree Naturali Protette, strumento principe nella tutela della biodiversità, coprono il 22% del territorio italiano. Ma sono i paradigmi chiamati a gestire le riserve a diventare l’oggetto principale dello studio. La filosofia del “command and control”, che si limita a circoscrivere e proteggere le aree protette, manca di flessibilità e impongono un approccio gerarchico che impedisce un processo decisionale condiviso e “una volta che tali misure vengono proiettate all’esterno di aree pubbliche, possono interferire con altri diritti come quelli connessi alla proprietà privata, generando spesso situazioni di conflittualità”.
La risposta si trova nei PES, i “pagamenti per i servizi ecosistemici”. I PES, spiega Melas, “cercano di dare un vantaggio a tutti gli attori che sono coinvolti nell’area da tutelare. Il gestore di una foresta deve ricevere un incentivo per proteggerei benefici che la foresta garantisce. Se l’incentivo non è adeguato il soggetto ricorrerà alla soluzione più comoda e nociva, sfruttamento e deforestazione”. L’incentivo dovrebbe allinearsi al valore. Il valore economico della biodiversità deve essere calcolato. Melas può vantare un’importante esperienza sul campo a questo proposito, sviluppata insieme all’economista senior Vania Statzu durante la valutazione dei servizi ecosistemi dello stagno di S’Ena Arrubia, uno dei sei siti Ramsar coinvolti nel progetto Maristanis, dedicato alla gestione integrata delle zone umide oristanesi, e del quale la Fondazione MEDSEA è capofila. “Per far capire l’importanza dei servizi offerti dalla zona umida è stato stimato il loro valore monetario attraverso l’utilizzo di metodologie specifiche e con il supporto di diversi esperti per ciascun servizio. Attraverso studi, interviste e questionari abbiamo calcolato i benefici portati dalla qualità dell’acqua, dalla protezione che lo stagno offre contro le alluvioni, l’importanza della zona umida per acquacoltura e agricoltura, il suo grande valore turistico e culturale, per turisti e residenti. S’Ena Arrubia è solo un piccolo esempio. Non esiste conflitto fra tutela della biodiversità e sviluppo economico. Il progetto Maristanis dimostra come il management integrato, organico agli ecosistemi e alla popolazione, possa essere un processo capace di coinvolgere nelle decisioni tutti gli attori del territorio, di concordare in armonia le esigenze ambientali e quelle umane”.
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