Le ombre cadono verticali sulla piazza della Cattedrale di Terralba. Pochi coraggiosi attraversano il sagrato e le strade sotto il sole infuocato di luglio. Un gruppo di pensionati chiacchiera sulle panchine, protetto dalle fronde degli alberi. “La restaurazione della Torre Vecchia di Marceddì? Una cosa ben fatta, importante sia per il borgo che per Terralba. Io ero un muratore, sono davvero curioso di vedere come sarà a lavori conclusi”, dice il signor Marras, incaricato dal gruppo di rispondere.
“Io ci andavano da bambino. La mia famiglia ha una casa lì da 45 anni, proprio davanti al pontile” racconta Claudio, proprietario dell’edicola situata ai bordi della grande piazza. “Mio padre andava matto per la pesca delle arselle. Quello era il nostro mare, anche se si trattava di uno stagno. Non so perché ma ricordo con precisione l’arrivo di tre camper, nel 1989. Erano turisti che venivano dal nord. Rimasero incantati davanti all’immagine del borgo. Non avevo mai pensato a quanto potesse apparire bello”.
Fermiamo Patrizia Perini in una delle strade laterali, mentre passa sul marciapiede carica di buste. L’accento sardo si manifesta in alcune espressioni dentro la parlata romana: “Sono qui da 35 anni. Mia madre emigrò a Roma, e sposò un terralbese…Marceddì è un luogo importante della nostra memoria. Perfino durante la guerra mia madre si spostava nella casa del borgo in estate. Trasportavano l’arredamento su un carro trainato dai buoi. La ristrutturazione è importante, può dare nuova vita al borgo”.
“Una cosa davvero bellissima. Siamo tutti felici per la ristrutturazione. Speriamo che resti autentica”, dice Marco Serra, impegnato con il padre Antonio nella pulizia della sentina. Intorno Marceddì vive nelle linee sfuocate della canicola, le barche del molo, lo sterrato, le poche voci che arrivano dal ristorante Da Lucio, dove gli altri pescatori si ritrovano dopo le lunghe ore di lavoro in mare. “Io da bambino ci andavo a giocare”, dice Antonio. “Ci arrampicavamo fino alla terrazza per ammirare il panorama. Entravi nella stanza al secondo piano e poi su, per le scalette di ferro. Il cancello era stato divelto. Poi negli anni si è trasformata in una latrina a cielo aperto. La ristrutturazione è una cosa molto positiva”.
“La torre è il simbolo stesso di Terralba. Per anni ci siamo chiesti perché nessuno prendesse l’iniziativa. Finalmente il comune e la fondazione MEDSEA hanno deciso di agire”, afferma Cristiano Putzolu, titolare del ristorante da Lucio. “Abbiamo Neapolis qui vicino, il Museo del Mare, e da qui passa il Cammino 100 Torri, in uno dei momenti più importanti e suggestivi di tutto il periplo della Sardegna. La torre aiuterà il turismo, e noi daremo una mano alla torre. Dovremo tutti averne cura, sia nella manutenzione che nell’organizzazione delle attività”.
Percorrendo pochi sentieri sabbiosi raggiungiamo infine la struttura, voluta nel 1580 da Filippo II di Spagna per l’avvistamento dei pirati saraceni che terrorizzavano le popolazioni costiere. Le impalcature la ricoprono, una brezza leggera aiuta la squadra di operai al lavoro, immersi nella solitudine dell’ultimo lembo di terra. “Siamo a buon punto” afferma il caposquadra Marco Frau, incaricato di eseguire il progetto degli architetti Pier Paolo Perra e Maria Franca Perra.
I suoi colleghi con una spatola appianano la superficie della calce speciale che tiene insieme le pietre antiche e le nuove, incastonate a riempire i vuoti causati dal tempo e dall’incuria. Splendido è l’impatto visivo che il bianco degli interstizi e la superficie scura dei massi restituiscono alle porzioni completate. Marco ci guida negli ambienti del piano terra e, con una arrampicata sulle impalcature, a quelli del piano successivo. Anche qui gli interventi sono ben avviati, non solo sulle parteti ma anche sugli scisti di arenaria del soffitto. Le due antichissime stanze ospiteranno attività e mostre per turisti e amanti delle zone umide.
L’ultima sequenza della scalata porta alla terrazza, dove sorgerà l’osservatorio. Intorno lo spettacolo è maestoso: la successione dei verdi e dei bruni che circondano gli stagni di Corru S’Ittiri, San Giovanni e Marceddì. Poi il golfo attraversato dal vento, Marceddì, Capo San Marco e Capo Frasca. Come nella memoria di Claudio, Patrizia e Antonio, la memoria che diventa futuro.
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