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82°07’Nord, in barca a vela ai confini di un paradiso minacciato

“Ti percepisci infinitamente piccolo, lo scenario intorno è maestoso e fragile. Non puoi che sentirti responsabile, cominci a pensare insistentemente a come proteggerlo”. Intorno a Gianluca Casagrande, docente di geografia all’Università Europea di Roma, si distende l’esposizione “82°07’Nord- in barca a vela ai confini del Polo, sulle tracce del dirigibile Italia”: il cobalto del mare è incastonato in un fiordo di scarni rilievi bruni macchiati di neve, o è attraversato dall’affioramento di una piatta, vasta roccia coperta di licheni. Vertiginose sculture bianche avanzano isolate con le loro linee affilate, segnano il confine fra il mare aperto e le terre del ghiaccio. Sempre, la minuscola figura della Nanuq, la barca a vela ecosostenibile che per sette settimane ha trasportato una squadra di dieci scienziati nei luoghi dove novanta anni prima Umberto Nobile e il suo l’equipaggio trovarono gloria e tragedia.

L’esposizione è ospitata a Cagliari dalla sede della Fondazione Banco di Sardegna, finanziatrice della spedizione Polarquest 2019 e organizzatrice dell’incontro “Ricerche sullo stato dell’inquinamento di plastiche nel Polo Nord e nel Mediterraneo”, uno dei tanti momenti del Cagliari FestivalScienza e del progetto di divulgazione scientifica Lab Boat 2019, organizzato dal CRS4. “Polarquest è stata un’esperienza multidisciplinare e innovativa. In continuità ideale con la spedizione del generale Nobile, abbiamo cercato di verificare l’applicabilità per la ricerca scientifica di mezzi più accessibili e meno impattanti sul piano ambientale, compatibili con la citizen science. Abbiamo sperimentato quanta ricerca possa esser fatta con mezzi ‘poveri’, premessa fondamentale affinché un giorno popolazioni locali e turisti possano contribuire alla conoscenza e alla tutela di questi luoghi estremi e meravigliosi”, spiega Casagrande.

Non solo nuove, approfondite mappature di anfratti delle isole Svalbard, ma la misurazione dei raggi cosmici, particelle provenienti dallo spazio galattico ed extra-galattico: “Siamo molto contenti dei risultati, abbiamo potuto raccogliere dati a latitudini alle quali pochi erano arrivati. Misure che mancavano. Da quando esistono gli acceleratori di particelle molta della ricerca si è spostata lì, ma nemmeno le strutture complesse riescono a ricreare raggi cosmici con energia simile a quelli che arrivano dagli spazi extragalattici”, spiega Ombretta Pinazza, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e membro dell’equipaggio del Nanuq per quattro settimane. Il piccolo telescopio montato sulla cabina della barca a vela è stato costruito da studenti delle scuole superiori italiane con la collaborazione di coetanei svizzeri e norvegesi. Gli studenti non solo hanno assemblato la tecnologia, ma continuano costantemente ad analizzare i dati raccolti. “Studiare i raggi cosmici è molto importante- aggiunge Pinazza”. “Alcune particelle rare innescano sciami secondari enormi e non abbiamo ancora idea di quale sia la sorgente in grado di generare tali energie. È come osservare messaggi da un mondo sconosciuto”.

Durante la traversata che ha toccato le propaggini esterne della banchisa polare a 82° 07’, favorita dalle condizioni climatiche estremamente favorevoli, la Nanuq ha raggiunto il punto dal quale novanta anni prima il marconista Giuseppe Biagi lanciò il primo SOS dopo lo schianto. Una celebrazione, e un’occasione per scandagliare il fondo alla ricerca dell’involucro del dirigibile, che potrebbe aver seguito la traiettoria di deriva della celebre tenda rossa all’interno della quale trovarono rifugio i superstiti. I dati raccolti sono stati poi passati a Roberto Demontis, ricercatore del CRS4: “Per diversi mesi abbiamo analizzato i dati con il sistema informativo geografico (GIS), incrociandoli con le testimonianze storiche. Abbiamo cercato di individuare con precisione quale sia stata l’area dello schianto, la dinamica degli eventi successivi”.

Ma perfino nei rarefatti paesaggi del Polo Nord arrivano i disastrosi risultati del furioso consumo della Terra sottostante. Sulle sponde toccate dalla Nanuq spesso la squadra di Polarquest ha trovato reti da pesca, bottiglie di detergente, sacchetti per le patatine. Un’urgenza ambientale, quella della plastica, che nel corso dell’incontro è stata contestualizzata nel Mediterraneo da Giorgio Massaro, esperto in scienze ambientali della Fondazione MEDSEA. “Dal 2004 ad oggi sono molte le iniziative che ad ogni livello, da quello europeo a quello locale, da quello politico a quello scientifico, hanno cercato di studiare il fenomeno e immaginare dei rimedi. Molte specie animali vengono uccise o contaminate da plastiche e microplastiche, la bellezza dei litorali viene deturpata”, afferma Massaro. “Dobbiamo parlarne, diffondere il messaggio delle buone pratiche e partecipare attivamente. Ormai sono moltissimi i clean-up a cui è possibile partecipare. In giugno la Fondazione MEDSEA ha organizzato a Cagliari ‘Puliamo la Sella’, che ha coinvolto oltre duecento cittadini e svariate associazioni sportive e ambientaliste. Esistono molte energie sopite nella nostra società. Un altro esempio è il progetto di ‘Bars for the Sea’, che MEDSEA porta avanti con la fondazione statunitense ‘Parley for the Oceans’. Alcuni chioschi del Poetto hanno deciso di abbandonare l’utilizzo delle plastiche monouso. Fra gli ultimi giorni di luglio e i primi di settembre abbiamo risparmiato almeno una tonnellata di plastica. Ad oggi i chioschi coinvolti sono otto”.

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