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Le piccole, globali guerre dell'acqua: intervista a Emanuele Bompan

“La geografia dell’acqua sta mutando. Viviamo in un pianeta che ospita 7,5 miliardi di persone. Diventeranno probabilmente 9,5 miliardi nel 2050. Fortunatamente molte persone escono dalla povertà e assumono stili di vita da classe media occidentale. Ciò ha determinato un aumento poderoso del consumo idrico. Parallelamente, inquinamento e crisi climatica causano una riduzione della disponibilità. Nasce così la battaglia per l’accaparramento dell’acqua”. Più consumatori, meno risorse. Un processo elementare, inesorabile quello descritto a MEDSEA da Emanuele Bompan, uno dei più capaci giornalisti in Italia nell’ambito delle scienze ambientali, e presidente del Water Grabbing Observatory.

Bompan, quali sono i luoghi principali delle cosiddette “guerre dell’acqua?”

I conflitti per le risorse idriche esistono da molto tempo. Basti pensare alle tensioni fra Etiopia, Sudan ed Egitto per la gestione delle acque del Nilo. Più di recente abbiamo visto come la siccità del 2010 in Siria abbia con i cattivi raccolti esasperato tensioni politiche e sociali a lungo sopite. Nel sud-est asiatico a essere al centro della diplomazia è il Mekong, il fiume che attraversa sette paesi, dalla Cina al Vietnam. Sono 100 le dighe previste lungo il corso principale e lungo quelli secondari. La siccità dell’anno scorso ha dimostrato che una costruzione non pianificata e condivisa può portare a una importante regressione del regime fluviale. Il Mekong è inoltre interessato dal fenomeno della subsidenza (il progressivo sprofondamento del fondo di un bacino, ndr) dovuto al pompaggio di acqua per la coltura del riso, principale prodotto alimentare della regione. L’aumento del cuneo salino ha causato a una diminuzione del pescato. Il Vietnam è dovuto ricorrere alle Nazioni Unite per il suo contenzioso con il Laos. Esistono esempi di gestione coordinata, come quello fra India e Pakistan per le acque dell’Indo. Gli strumenti legali per la soluzione dei conflitti esistono a livello internazionale. Ma non tutti gli Stati hanno firmato i trattati e non tutti li rispettano.

Che ruolo svolgono i cambiamenti climatici in queste crisi?

I cambiamenti climatici sono insieme all’inquinamento le cause principali della penuria di risorse idriche. Un dato che sfugge a molti riguarda il sale, il più importante elemento inquinante dell’acqua dolce. È l’innalzamento del livello del mare ad aumentare la sua capacità di penetrazione nei bacini. Naturalmente non dobbiamo dimenticare le altre forme di inquinamento. Uno dei casi più clamorosi nella storia recente è quello del fiume Flint in Michigan, dove la presenza del piombo ha lasciato milioni di persone senz’acqua. I cambiamenti climatici agiscono anche sul regime piovasco (ancora da stabilire la verità scientifica) e causano lo scioglimento dei ghiacciai. Fermare la folle produzione dell’anidride carbonica è fondamentale per evitare che la crisi idrica si faccia ancora più allarmante.

È corretto affermare che le zone umide hanno un ruolo importante nella mitigazione degli effetti del cambiamento climatico?

Assolutamente. Le zone umide sono degli straordinari cuscinetti che proteggono le popolazioni affacciate sul mare, garantiscono la sicurezza delle falde e il contenimento del cuneo salino, impediscono ai fenomeni atmosferici estremi di avere impatti diretti e violenti sulle comunità costiere. La biodiversità che ospitano è in grado di evitare che nuovi parassiti si insedino nelle nostre regioni. Stagni e lagune rappresentano inoltre dei laboratori molto importanti per lo studio degli effetti causati dalla cementificazione, e dalla presenza umana in generale.

Che ruolo giocano agricoltura e allevamento nel consumo complessivo delle risorse idriche?

Nei paesi industrializzati agricoltura e allevamento rappresentano il 75% dei prelievi. Se vogliamo rendere efficiente il processo di distribuzione dobbiamo guardare a cosa si mangia e come lo si coltiva o alleva. Un chilo di carne bovina richiede in media fra i 9000 e i 15000 litri d’acqua. In California gli alberi da frutto hanno prosciugato le falde della Central Valley. Pensiamo che per la resilienza idrica si importante fare una doccia breve. Dobbiamo invece osservare il nostro frigorifero. Le tecnologie che permettono di produrre in maniera equilibrata esistono già. Si tratta solo di adottarle. L’industria, se non altro per un ovvio risparmio economico, si è portata avanti nella gestione del ciclo dell’acqua.

La scarsità di risorse idriche causa molti problemi anche in ambito sanitario.

Sì, e l’emergenza Covid ha reso ancor più drammatico il fenomeno. Come abbiamo visto l’acqua è al centro della profilassi necessaria ad evitare la diffusione del virus. Ma in tanti paesi l’acqua sicura è ancora un miraggio. In India muoiono 5000 bambini al giorno per infezioni intestinali dovute alla contaminazione del sistema idrico. È aumentato il numero dei batteri antibiotico-resistenti. A rischio anche le donne, spesso costrette all’utilizzo dei bagni pubblici, dove sono dietro l’angolo infezioni e violenze di ogni tipo. In molti contesti anche l’acqua utilizzata durante il parto negli ospedali non è sicura.

Pensa che l’emergenza Covid finirà per limitare o promuovere le politiche green che erano state annunciate in Europa?

Durante le crisi tutte le forze in campo finiscono per essere più aggressive. Alcune fra queste sognano un passato mai esistito. Esistono diverse posizioni in Europa sulla prospettiva del Green New Deal. Di certo molte cose sono occorse in questi ultimi mesi. Abbiamo assistito a una forte, per quanto limitata nel tempo, riduzione delle emissioni. Abbiamo visto la funzionalità del telelavoro, i cieli e i mari puliti, gli animali nelle città. Non ho mai visto così tante biciclette per le strade. Ora l’esigenza primaria è quella di tornare alla sicurezza economica. Ma dobbiamo capire che soltanto un ambiente sano può tutelare la nostra salute e la nostra ricchezza. Dobbiamo avere il coraggio di rinunciare ad alcune abitudini del passato.

A questo proposito, a che punto si trova l’Italia sul tema dell’acqua come bene comune?

Esistono due proposte di legge depositate in parlamento, due visioni diverse per l’implementazione del desiderio espresso con il referendum del 2011, quando gli italiani si opposero chiaramente a qualsiasi forma di privatizzazione. Le proposte vengono dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle. Per ora manca una convergenza. La speranza è che in autunno si arrivi a un nuovo quadro legislativo. Il tema delle tariffe è fondamentale per spingere i consumatori, soprattutto in agricoltura e allevamento, verso attitudini sostenibili. La commissione parlamentare sui rifiuti ha stabilito che al sud, soprattutto in Campania e Puglia, la mafia ha la capacità di entrare nel business legato ai depuratori. Un danno enorme per la salute delle persone.

Dovremo anche in campo ambientale attendere che la crisi ci investa prima di veder applicate nuove regole comportamentali condivise?

La catastrofe sta già avvenendo in realtà, ma con un passo talmente lento da renderlo poco percepibile: sono i cambiamenti climatici. Il legame con l’emergenza idrica raramente è sottolineato. Dobbiamo affilare le armi della ricerca, della comunicazione e dell’advocacy presso le istituzioni politiche, costruire una narrazione popolare che porti il tema ambientale dentro la vita delle persone, e allo stesso tempo generare una comunicazione specializzata che crei dibattito sui media. A parte qualche rara eccezione l’attenzione delle testate italiane ed europee è molto scarsa. Ma non si può sempre attribuire le responsabilità a entità esterne. Noi cittadinidobbiamo attivamente andare a cercare l’informazione di qualità. Solo così la spirale negativa può essere interrotta.

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