“Sono qui per la manifestazione del mare e della terra”, balbetta con involontaria chiarezza Francesco, quattro anni e mezzo, le piccole mani a reggere un lenzuolo che afferma fra i colori: “Gli elfi cambieranno il mondo”. Sono lui e quattro suoi coetanei ad aprire a Cagliari il corteo del “Global Climate Strike for Future”, la giornata di sciopero contro i cambiamenti climatici che ha visto gli studenti protagonisti in oltre cento paesi in tutto il mondo. Milioni hanno sfilato per le vie di Roma, Berlino, Londra, Atene, Nuova Delhi e Sydney, rispondendo ancora una volta alla chiamata di Greta Thunberg, la sedicenne svedese oggi candidata al Nobel per la pace.
Nei venti giorni precedenti le elezioni del 9 settembre 2018, Greta ha saltato le lezioni preferendo sedere davanti al parlamento di Stoccolma armata solo di un cartello recante la scritta “Skolstrejk för klimatet”, sciopero scolastico per il clima. Al nuovo parlamento svedese chiedeva la riduzione delle emissioni di anidride carbonica in rispetto degli Accordi di Parigi. Lo sciopero di Greta, ridotto dopo le elezioni al solo venerdì, ha ispirato migliaia di giovani in tutto il mondo, decisi a replicare la sua protesta pacifica, diventata ormai il simbolo di un’accusa diretta alla classe politica globale, colpevole di aver ignorato per decenni l’impatto devastante che i cambiamenti climatici hanno su l’uomo e gli ecosistemi. La giovane moltitudine globale ha trascinato l’orizzonte delle soluzioni al tempo presente, trovato un linguaggio semplice e comune.
“Skolstrejk för klimatet” e “There is no plan(et) B” compaiono così a Tokyo come a Cagliari, espressioni di una energia sopita che aveva soltanto bisogno di una scintilla per accendersi in rivendicazione. “Ho cominciato a seguire Greta qualche mese fa, su Twitter”, racconta Gabriele, studente al secondo anno in un istituto professionale. “Fra le prime immagini che ho visto facendo ricerche sul web la ‘Great Pacific Garbage Patch’, l’isola di plastica galleggiante nell’Oceano Pacifico, grande quanto la Spagna. È stato uno shock. Da allora seguo attivamente le notizie che riguardano l’ecologia. Oggi non potevo mancare”.
“La plastica è solo uno dei problemi che affliggono i nostri mari, certo fra i più evidenti”, spiega Maria Pala, biologa che insieme agli altri membri del team di Medsea ha preso parte al Global strike for future di Cagliari. “L’aumento di Co2 nell’atmosfera ha determinato l’acidificazione delle acque, creando un vero e proprio ostacolo alla vita marina, minacciando i delicati equilibri chimici che consentono a molti organismi di crescere e riprodursi”.
La manifestazione procede fra i cori, diretta alle acque del porto. Lungo la strada gli studenti si fermano per produrre un unico grande frastuono di voci e fischi che chiama la città ai balconi. I pochi rappresentanti delle vecchie generazioni scorrono ai lati del corteo, partecipano defilati al piccolo, infinito miracolo. Giovanni, da tempo in pensione, porta appeso al collo un cartone che recita: “se il mondo fosse una banca lo avrebbero già salvato”. “Siamo figli, non padroni. Rispetto per Gaia!” dice il cartello di Sabrina, che aggiunge: “La politica ha fallito, è stata incapace di rispondere alle istanze delle popolazioni, soprattutto di interpretare le esigenze dei più giovani. Se queste esistono, e oggi chiedono un cambiamento, non abbiamo fallito, alcuni di noi hanno resistito, sono rimasti vigili”.
Salvatore e Marco, studenti di economia, portano a spasso un cartello in lingua sarda, “pro su clima”. “Noi universitari non siamo in tanti. Nelle ultime settimane abbiamo intervistato molti nostri colleghi, e la risposta è stata univoca, sostengono che risolvere i problemi legati all’inquinamento spetti alla classe politica. Ma questo significa assumere lo stesso
atteggiamento delle generazioni precedenti, quelle che hanno permesso che la natura venisse devastata”, raccontano. E Salvatore si spinge oltre nell’analisi: “Dobbiamo cambiare il capitalismo, renderlo solidale e sostenibile per gli uomini e la natura. Allo stato attuale è solo un sistema di predazione dei più forti”.
“È molto importante che la comunità sarda, come molte altre nel Mediterraneo, sia qui oggi per chiedere la soluzione a un problema che ci riguarda tutti”, spiega Alessio Satta, presidente di Medsea. “L’innalzamento di 1,4 c° della temperatura delle acque mediterranee ha generato conseguenze nefaste, precipitazioni concentrate, talvolta disastrose, e siccità. O fenomeni estremi come i cosiddetti “uragani mediterranei” nel quadrante che comprende Sardegna, Sicilia, Tunisia e ormai anche le isole greche. Ci troviamo in una condizione di emergenza. Naturalmente è un problema politico, e prima ancora culturale, che non cessa di creare diseguaglianze. Mentre la sponda nord, quella europea, è interprete di un modello che produce e subisce l’inquinamento, ma ne conserva i benefici economici, la sponda africana deve affrontare solo le conseguenze negative dei cambiamenti climatici. Per questo Medsea, insieme ai suoi partner internazionali, e soprattutto il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), sta portando avanti strategie e progetti che comprendono la valutazione dei danni creati agli ecosistemi marini, e gli interventi che porteranno queste aree ad adattarsi alle nuove sfide del clima. Non è mai semplice, ma basta guardare questa manifestazione, questi giovani per capire che la speranza è viva e forte”.
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